La mia vita è una partita a rugby, in realtà quella di tutti lo è, solo che alcuni non lo sanno perché non hanno avuto l'onore di venerare lo Spirito Ovale.
In una partita si verifica un milione di situazioni differenti, esattamente come nella vita, e non ce n'è una che metaforicamente non trovi corrispondenza nella quotidianità.
Da giocatore ho avuto il grande pregio di mettermi sempre a disposizione di ogni compagno che portasse avanti il pallone, sentivo forte il dovere morale di stargli accanto perché sapevo che prima o poi un avversario, magari più di uno, lo avrebbe affettuosamente abbracciato, col pacifico intento di chiedergli con gentilezza di poter giocare anche lui con quella palla e che lui, il mio compagno, in quanto poco avvezzo a prestare la sua palla, avrebbe avuto bisogno di me: dovevo essere lì e in quel momento!
Ma da giocatore ho anche avuto un grosso difetto (vabbè... più di uno, ok): col pallone in mano non sapevo evitare l'avversario, quello che in gergo si dice uscire dal frontale, lo prendevo sempre di petto, instaurando un confronto fisico, ma soprattutto non sapevo riconoscere il momento in cui... ok, io ho fatto la mia parte di strada, ne ho attirati tre su di me, ora tocca a te amico mio, ecco, questo è il pallone, portalo avanti tu. Non sapevo accettare il mio sostegno, forse solo non lo sapevo vedere, chissà...
Fatto sta che nella vita mi ritrovo ad essere esattamente la stessa persona, lo stesso giocatore.
Col tempo ho imparato a non ficcarmi nei guai ma di certo non so nascondermi dietro un dito.
Ho imparato che a volte mi serve qualcuno accanto ma non so chiedere, a volte nemmeno accettare, così come allora, inconsciamente, costringevo i mie compagni ad un lavoro extra, oggi faccio la stessa cosa con chi volesse starmi vicino, per fortuna non sono così tanti.
Dalla mia, oggi, ho la maturità e forse adesso anche la voglia di essere migliore, di giocare meglio questa partita